Nelle opere di Emery – declinate in un sottile equilibrio tra figurazione e astrazione, realtà e simbolo, intorno alla vasta stagione dell’informale europeo – scorgiamo sempre un doppio movimento: da una parte c’è un fondo naturalistico, semplice, ritmico, organicamente strutturato: la possibile trasfigurazione di un campo, un prato, una collina, un albero: rami, arabeschi, intrecci, foglie; dall’altra questo fondo, questa base, è mossa, graffiata, intaccata da una serie di segni e di gesti, di presenze e fantasmi che si pongono come altro, come il diverso, e che, tuttavia, cercano una comunione, un’unità, una fusione. C’è un mondo esterno e c’è un mondo interno. C’è una simmetria e c’è un caos. C’è un microcosmo e un macrocosmo. C’è la natura e c’è la coscienza e la sua inquietudine che indaga ed esplora questo immenso, contraddittorio universo.