Tra gli artisti contemporanei, nessuno come Nobuyoshi Araki (Tokio 1940) ha indagato i movimenti e le profondità di Eros: Eros come sessualità, attrazione, fascino; Eros come lotta, ricerca e gioiosa congiunzione; Eros come desiderio, felice e inquietante ossessione prodotta da una mancanza, una separazione, una ferita. In uno dei suoi miti più belli Platone dice che in origine il maschio e la femmina erano una sola persona, unita in una forma perfetta: l’androgino. Ma, temendo la sua superbia ed il suo attacco, Zeus la castigò tagliandola in due parti uguali (Simposio, 189 a -192 a): da allora nacque il maschio e la femmina, il positivo ed il negativo, i due sessi opposti e complementari, che vivono per tutta la vita cercando di ritrovare e ripristinare la loro perduta unità originaria. Il tema centrale delle numerose foto di Araki è dominato da questa arcaica, profonda lacerazione: la sessualità prodotta da una colpa (la superbia dell’androgino), la sessualità come infinita ricerca della perfetta unità originaria, l’eros come ininterrotta oscillazione tra privazione e ricchezza, mancanza e completamento.
Un uomo guarda e contempla l’infinito fascino della donna, egli è stupito di fronte a questa magica attrazione: una enorme energia, una grande forza a volte faticosa da trattenere, il cuore pulsante della vita. Così Eros si trasforma anche in cacciatore, e la femmina in una preda. Nelle foto di Araki, la sessualità è vissuta e testimoniata soprattutto come qualcosa di estremo, duro, violento: la preda è catturata, sottomessa, umiliata; la preda è legata e appesa come un trofeo di caccia. Il diverso da sé, la nostra parte mancante, può essere preservata, custodita, imprigionata, in modalità anche selvagge e rozze e primitive. In questo senso, l’occhio di Araki, cancellando tutta la poetica dimensione del corteggiamento, indaga l’amore solo ed esclusivamente nel suo aspetto istintivo, crudo, organico, animale.
Araki, il nuovo satiro, è dominato dall’ossessione del coito. La donna è solo un oggetto, un gioco, una preda che ci può divertire e sfamare. La ragazza è solo un’ampia decorazione intorno al suo organo genitale: ferita, cicatrice, stemma di un paradiso presente e perduto, remoto e pulsante. Il paradiso del fiore, che anche nelle sue fotografie rivive come la più classica delle metafore: naturalistica realtà, simbolo, presenza e profumata immagine. Ma, dietro Eros, dietro la sessualità, la vita, il fiore, come sempre, si nasconde la morte, la grande presenza di Thanatos. La cessazione di tutto: la totale, tragica sparizione. Di fronte all’estremo enigma della cancellazione, della scomparsa, dell’assoluto annientamento, la forza vitale della sessualità, del riprodursi, così acquista un’importanza ancora maggiore: come continuità, preservazione, estrema necessità dell’Essere.