Una luce mozartiana pervade e illumina questi mirabili ritratti degli autoritratti di Rembrandt, che la nostra galleria ha il piacere di testimoniare. La felice mano di Pericoli gioca con le forme ed i colori: intorno ad un volto famoso scuce e ricuce i fili dell’aria, le sfumature del cielo, la stoffa delle nuvole; disfa e ricompone la seta dell’arcobaleno, con maestria e leggerezza e incanto e grazia. Attraverso la mente colorata di un nuovo Ermes, il suo pennello e la sua matita hanno riscoperto il valore più alto del fare come techné: dell’arte come parodia: nel senso più nobile, che appartiene all’antica Grecia: il rifacimento e la variazione di un archetipo, un modello assoluto: poiché nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Così assistiamo ad una ricca, felice metamorfosi: alla lenta malinconia rembrandtiana, alla sua pensosa clessidra cronologica, ai suoi magmatici riverberi di senape e avorio, nero e oro, al suo cupo rintocco di bronzo, Pericoli oppone un’incantevole musica di cristallo, una festa di luci ordita in una ampolla di trasparenze, una brezza solidificata di allegri suoni di flauti, di azzurre arpe eolie, di delicati e lontani tamburelli. La greve pasta del pigmento tradizionale, in questi suoi nuovi dipinti, si trasfigura in una danza di linee, una geometria di coriandoli, un arabesco di segni tessuto d’aria, dove il grande modello dell’incisione diviene guida e ornamento, tema e variazione. Il pensoso uomo del Nord, l’austero contemplatore della falce del tempo, il brahmsiano testimone della decadenza organica, è stato sostituito dal sogno della Grecia, dai giochi di Ermes, dalle sottili alchimie raveliane, dalle solari iridescenze degli invisibili vapori del mare, dagli abbaglianti riflessi della luce mediterranea.
testo di Paolo Repetto